Osteotomia tibiale valgizzante

Introduzione

Osteotomia significa letteralmente "taglio di osso". Durante questa procedura, si taglia l'osso e lo si sposta, al fine di traslare le forze pressorie da una parte all'altra. Comunemente si ricorre a questa procedura quando l'artrosi del ginocchio coinvolge un solo versante. Il razionale sta nel fatto che, spostando l'asse del ginocchio, si spostano anche le forze pressorie agenti sulla parte più usurata; in questo modo si può ottenere una diminuzione del dolore. La zona sottoposta ad osteotomia valgizzante è quella più prossimale della tibia.

Indicazioni

  • Pazienti giovani (età inferiore a 55 anni) ed attivi
  • Artrosi che coinvolge solo il versante laterale del ginocchio
  • Non sussistono limitazioni nell'articolarità del ginocchio
  • La qualità dell'osso è buona
  • Il paziente è in grado di deambulare con stampelle e collabora con il fisioterapista

Controindicazioni

  • Artrite infiammatoria
  • Infezione
  • Coinvolgimento di più di un versante articolare
  • Rigidità
  • Obesità
  • Età superiore a 65 anni

La tecnica chirurgica

Esistono diverse tecniche per eseguire una osteotomia tibiale valgizzante:

  1. A cuneo in sottrazione - un cuneo triangolare di osso viene asportato
  2. A cuneo in addizione - l'osso viene aperto in base alla correzione da eseguire
  3. Osteotomia a cupola - l'osso viene tagliato in maniera semicircolare

La mia tecnica preferita è l'osteotomia tibiale valgizzante con cuneo in addizione.
L'intervento viene attuato abitualmente in anestesia spinale selettiva, che addormenta solo l'arto da operare, o in anestesia generale. La scelta viene effettuata in base al parere del chirurgo e dell'anestesista e, per quanto possibile, tenendo conto del desiderio del paziente. Per questo l'anestesista La sottoporrà a visita, Le fornirà tutte le informazioni relative all'anestesia programmata e raccoglierà lo specifico consenso. Eseguita l’anestesia, l'intervento di osteotomia viene eseguito attraverso un'incisione curvilinea situata sulla faccia mediale della tibia prossimale. La parte prossimale della tibia (fig. 2) viene “tagliata” e utilizzando appositi strumentari, si “apre” l'osteotomia. Lo spazio così generato, viene di solito riempito con sostituti ossei sintetici. La stabilità dell'osteotomia viene garantita da una placca dedicata fissata con un numero di viti variabile a seconda delle dimensioni del segmento osseo.

Decorso post operatorio

Dopo circa due ore dalla fine dell'intervento quando, finito l'effetto dell'anestesia, è ripresa la sensibilità e la motilità dell'arto, si può avvertire dolore. Con l'impiego regolare del nostro protocollo di analgesia è possibile ottenerne un controllo soddisfacente. Dopo l'intervento, il paziente rimane ricoverato nel reparto chirurgico per un tempo variabile tra 1 e 2 giorni e verrà dimesso con un tutore da mantenersi per 20 giorni. Già dai primi giorni però il paziente inizia gli esercizi passivi di flesso-estensione del ginocchio, così da ridurre il rischio di rigidità. Il raggiungimento di una buona articolarità del ginocchio operato già nei primi giorni dopo l'intervento è un fattore fondamentale per avere un risultato ottimale. La deambulazione inizia in genere da subito, con l'ausilio di stampelle senza concedere il carico sull'arto operato. E' possibile concedere il carico non appena i tessuti molli siano guariti e dopo l'esecuzione di una rxgrafia di controllo (dopo 3 settimane).
Per 30 giorni dopo l’intervento, per prevenire il rischio di trombosi venosa, il paziente farà uso di calze elastiche e dovrà proseguire il trattamento con eparina a basso peso molecolare.
Dopo 6-8 settimane, in presenza di un decorso regolare, il paziente può tornare ad una vita del tutto normale.

Prognosi

Le osteotomie tibiali valgizzanti riescono a migliorare la situazione clinica e a rinviare la protesizzazione in media di 7-8 anni, ma la variabilità individuale è grandissima. Il peso corporeo e il livello di attività fisica sembrano incidere in modo determinante sulla durata. Questo fa sì che un paziente magro e con basse richieste funzionali possa ragionevolmente ritenere che il suo intervento duri anche oltre 10 anni. Non così un giovane attivo e sovrappeso, per il quale il rischio di andare incontro ad un intervento di protesizzazione è concreto.

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